Psicoanalisi Relazionale

Il mio quadro teorico

Il mio quadro teorico di riferimento è quello psicoanalitico relazionale.
Il modello relazionale è risultato di una laboriosa elaborazione che ha portato a relativizzare il Modello pulsionale freudiano, incentrato sull’intrapsichico, e il Modello del deficit, troppo spostato sull’ambiente/madre, trasformando la psicoanalisi da psicologia mono-personale in psicologia bi-personale o relazionale (Wolstein, 1959; Epstein e Feiner, 1979; S. Mitchell, 1988).
La Psicoanalisi della Relazione dà particolare rilievo alla persona nella sua totalità e soprattutto nel pieno rispetto di ciò che essa è, senza categorie che la incasellino in una dimensione di normalità o patologia. L'idea di fondo è che ogni essere umano, in qualsiasi momento del proprio processo di vita, adotti le proprie soluzioni, senza dubbio le migliori che ha trovato, per poter andare avanti. Queste, a volte, possono comportare compromessi molto costosi, che portano la persona a stare male. L'ipotesi dunque è che la sofferenza si origini e abbia a che fare con le relazioni che il soggetto intrattiene. Tale sofferenza dunque riguarda noi e le nostre relazioni.

Origini storiche
Il modello relazionale vede in Ferenczi il suo primo precursore. Ferenczi negli anni 20 aveva espresso dei dubbi sulla tecnica psicoanalitica, in particolare nei confronti della neutralità dell’analista. Riteneva che si dovesse, invece, dare molta più importanza all’esperienza del paziente. Per sottolineare quanto l’analisi dovesse focalizzarsi sui dettagli concreti e non sulla teoria formale, sostenne il valore dell'”esperienziale” e dell'”affettivo”.Insieme a Rank sostenne che l’analista dovesse interpretare tutto il materiale del paziente alla luce del qui ed ora della relazione analitica.
L’aggettivo “relazionale” come termine psicoanalitico deriva dall’espressione “object relations”, usato per la prima volta, nel 1925, da M. Klein. Tuttavia, mentre “le relazioni descritte dalla Klein si trovavano tutte nella mente del bambino, ed erano primarie e perlopiù autonome rispetto all’esperienze reali con gli altri” (Mitchell, 1997) gli autori che diedero avvio al filone delle relazioni oggettuali trasferirono tali descrizioni nell’ambito delle relazioni reali con gli oggetti reali che costituivano l’ambiente concreto del bambino.
Ovviamente questo ebbe delle conseguenze anche per ciò che atteneva alla natura stessa del processo psicoanalitico. Mentre la Klein aveva una concezione piuttosto tradizionale del processo (astinenza e neutralità), la trasformazione in senso “bi-personale” del concetto di identificazione proiettiva generò, ad esempio negli anni ’50, l’importante ripresa degli studi sul controtransfert.

Relazione come interazione
Il nostro concetto di relazione non ha a che fare solo con il significato concreto di “relazione”, ma costituisce anche l’espressione di un modo di vedere il mondo e quindi la terapia. A una visione “costruttivista”, che rimanda inevitabilmente a una costruzione mentale o intrapsichica della realtà, contrapponiamo come più adeguata una concezione “interazionista”. Il movimento della vita non è a senso unico, ma procede attraverso l’interazione. La conoscenza si fa strada attraverso l’interagire. La vita è interazione. Non solo interazione, ma anche meta-interazione. La conoscenza della conoscenza è una prerogativa dell’Io-soggetto. Purtroppo siamo abituati a etichettare come meta-interazione solo o principalmente la parola, ma il meta-interattivo va soprattutto nella direzione della presenza a se stessi. Solo quando il meta-interattivo è diventato una cosa sola con il sistema, e non solo con la parola cosciente, possiamo ritenere che il meta-interattivo è assimilato e fatto proprio.

La conoscenza
La conoscenza è l’aspetto epistemico che ci guida, non una conoscenza onnisciente o illuministica bensì un processo lento e graduale che rimanda alla complessità. Non è tanto il mondo a essere complesso, quanto la nostra conoscenza. Tutta la sicurezza storica fondativa dell’essere umano viene meno e impariamo a procedere nell’incertezza. Non c’è dubbio che la “realtà” esista ma, come dice Maturana (1990, p. 23), è saggio metterla “tra parentesi”. “L’oggettività tra parentesi, implica che l’esistenza sia costruita dalle distinzioni compiute dall’osservatore e ci siano tanti domini di esistenza quanti sono i tipi di distinzioni operati dall’osservatore: l’oggettività tra parentesi implica i multiuniversi, implica la nozione che l’esistenza dipenda costitutivamente dall’osservatore e che ci siano tanti domini di verità quanti sono i domini d’esistenza che questi realizza nelle proprie distinzioni”.

Il cambiamento
Il Soggetto “sa” che cosa gli è possibile e che cosa non gli è possibile. Pensare al cambiamento come un conformarsi o un adeguarsi ad un ideale, seppur condiviso dalla società, è generare violenza anti-etica. Il sistema ha trovato e trova nel suo ambiente dato la migliore soluzione per lui. Non ha molto senso imporgli un cambiamento.
In un continuo interagire con il mondo, funzione dell’auto-regolazione, il sistema “sceglie” sempre quello che è funzionale per la sua coerenza. Solo il sistema è al corrente di come stanno le cose dentro di lui. Nessuno può arrogarsi il diritto di imporgli come “deve essere”. Certo, è pensabile che un’interazione nuova, quale può essere quella analitica, possa modificare la direzione che il soggetto ha preso. Una modifica che però non può essere che adottata e fatta propria dal soggetto. Solo il singolo Io-soggetto sa che cosa per lui è possibile e buono.

Il Dizionario internazionale di Psicoterapia, Garzanti (voce curata dal Dott. Salvo Zito) definisce la Psicoanalisi relazionale nel seguente modo:

"Orientamento psicoanalitico che si origina dalla confluenza di più tradizioni post-freudiane (le relazioni oggettuali, la psicoanalisi interpersonale, la psicologia del Sè) e articolato su un nuovo paradigma in grado di andare oltre la concezione "classica" fondata sul modello pulsionale. Tale sviluppo, avvenuto negli stati Uniti a partire dagli anni 80, condurrà nel 1988 all'apertura, nell'ambito del post-doctoral program dell'università di New York, di un indirizzo denominato relational track, contemporaneamente in Italia, attraverso un percorso parallelo ma indipendente, già dalla metà degli anni 70 un gruppo di psicoanalisti edotti dalla lezione di D. Rapaport e dei post-rapaportiani e animati da un approccio critico e riformista nei confronti del modello classico aveva dato origine a una propria "psicoanalisi della relazione", che nel 1985 sfocerà nella fondazione della Società Italiana di Psicoanalisi della Relazione" (SIPRe).

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